Lottare per un diritto e quando lo si ottiene gettarlo via
Ennesima tornata elettorale in giro per l’Italia ed ennesima conferma che la gente non vota più. Questa volta erano amministrative, ma oramai è chiaro che per qualunque motivo si venga chiamati alle urne, gli italiani non percepiscono più l’importanza del momento e organizzano il loro weekend senza preoccuparsi di inserire quei trenta minuti per esprimere la propria opinione.
Ci stiamo quasi abituando a questa realtà, tant’è che i giornali nemmeno sottolineano più che a vincere è il partito dell’astensionismo e i politici che sono impegnati non commentano nemmeno più questo dato. È così, se ne prende atto e si va avanti. Forse (siamo maliziosi?) ne sono perfino contenti, hanno sempre una porta aperta per giustificare la sconfitta. In realtà chi perde davvero siamo noi semplici cittadini che abbiamo scordato quanto sia importante e prezioso il diritto di voto.
Già, perché avere l’opportunità di esprimere la propria volontà non è un qualcosa di così scontato. Ci sono ancora decine e decine di Paesi nel mondo in cui questo diritto non sanno nemmeno cosa sia, come nelle non democrazie dal voto pilotato e condizionato, per non dire altro. Se solo, ad esempio, pensiamo alla Russia ce ne rendiamo subito conto.
In Italia il diritto al voto non è arrivato per grazia divina, ma a seguito di una forte volontà per ottenerlo. Quando per la prima volta nel 1861 si andò al voto per la prima legislatura del Regno di Italia, le urne erano una cosa a esclusivo vantaggio dei maschi dell’alta borghesia, cioè coloro che pagavano un certo ammontare di tasse, con più di 25 anni. Solo vent’anni dopo l’età fu abbassata a 21 e il diritto concesso anche alla media borghesia. Il suffragio universale arrivò soltanto nel 1918, escludendo le donne. Per loro questo diritto arrivò solo nel 1945 e venne esercitato per la prima volta l’anno successivo con elezioni amministrative e con il referendum.
Ora, invece, noi ci permettiamo di snobbare la possibilità di esprimerci senza renderci conto che in questo modo non puniamo la malapolitica, ma anzi ne favoriamo il suo crescere. E pensare che un tempo, se non votavi per tre volte ti venivano tolti dei diritti civili.
Non scordiamoci, inoltre, che meno gente vota, più certi politici non si sentiranno controllati e crederanno di essere legittimati a comportarsi come meglio credono. No, decidere di rinunciare a un diritto così prezioso è un errore madornale, una mancanza di rispetto per chi ha lottato affinché ci venisse concesso e anche nei confronti di chi non può usufruirne e vive in contesti politici dove si è davvero succubi del potere. La frase fatta “intanto sono tutti uguali” è la più errata che esista. Siamo noi, con il nostro voto, che dobbiamo costringerli a non essere tutti uguali, a fare in modo che si adoperino per essere i migliori possibili.
Tra due anni Sesto sarà chiamata e eleggere un nuovo sindaco e una nuova amministrazione. Due anni per renderci conto che il voto è uno dei diritti acquisiti più belli in assoluto e non dobbiamo rinunciarci per sfiducia o disinteresse. La democrazia è esprimersi e non va mai scordato. Nemmeno nella vicina tornata referendaria dove le alte cariche dello Stato ci suggeriscono di non andare ai seggi. Di cosa hanno paura? Meditate, su questo.