Sesto San Giovanni resta la città della Liberazione
Si possono dedicare strade, parchi, giardini, aiuole a personaggi illustri, ma spesso meno illustri o addirittura sconosciuti per costruire una politica cosiddetta identitaria. Si può non partecipare a eventi e manifestazioni per La Liberazione e diversamente essere presente per l’inaugurazione della panchina tricolore, o a un evento di Forza Nuova. Si possono cancellare dal bilancio piccole spese per le celebrazioni del 25 aprile, addirittura non comprare nemmeno minuscole corone da apporre ai vari monumenti cittadini.
Si può fare questo e altro, ma una cosa è certa: non ci sarà nessuna amministrazione di destra che potrà cancellare la storia della città. Sesto San Giovanni non è figlia della Liberazione, ne è madre. È stata una città che ha pagato un tributo altissimo per la libertà del Paese; è stata una città delle lotte operaie che dal 1943 minarono il regime; è stata la città dove sviluppo sociale ed economico sono stati un tutt’uno; è stata una città con una fortissima rete sociale, capace di creare solidi consolidamenti e radicamenti per migliaia di cittadini provenienti da ogni parte; è stata una città che premiava la cultura.
Il sindaco del dopoguerra Abramo Oldrini, che doveva confrontarsi con la mancanza di tutto, fece costruire le scuole civiche di arte, pittura, ballo. Privilegiò la formazione come strumento di integrazione e di costruzione di una società viva e fattiva. Negli anni i sindaci di sinistra hanno continuato sulla linea tracciata da lui, arricchendola ed espandendola, facendo di Sesto una città modello. Basterebbe questo alle forze di centrosinistra per contrastare una destra priva di valori che pretende di imporre solo quelli identitari. Una ridicola metamorfosi che produce solo repulsione.